Un matrimonio, due preventivi: un operatore autorizzato (che fa notare d’esserlo), chiede 1.600 euro per l’intera giornata, un “amico del fotografo” soltanto 200. Ad essere disorientato, senza sapere quali siano i rischi dell’abusivismo e i parametri sui quali basarsi per stabilire l’onestà di un professionista, innanzitutto è il cliente.

Così la fotografia del lavoro con i Sapr in Italia non propone una bella immagine di sé. Il lavoro arranca e non soltanto a causa della lunga gestazione del nuovo regolamento – ormai è questione di giorni – quanto per mancanza di cultura da parte dei committenti, che spesso credono di poter spendere poche centinaia di euro per ottenere un servizio specializzato. Colpa, senza dubbio, anche di un mercato del lavoro che in generale si mostra senza più etica, nel quale un fotografo tradizionale, per una giornata di lavoro in trasferta, a stento riesce a coprire le spese. E in nessun caso a pagarci le tasse.

Inoltre, bloccati da norme e limitazioni ancora discutibili – nonostante i piccoli passi avanti fatti con l’aiuto delle associazioni – quando intervistati, il 70% degli operatori regolari dichiara di non riuscire a eseguire più di 4 missioni retribuite al mese, nella media generale soltanto due. Nel 60% dei casi bisogna rifiutare il lavoro perché il sorvolo prevede zone urbane (aree critiche), mentre per un altro 30% di eventi il committente non vuole spendere la giusta cifra. Chi lavora di più, o ha ricevuto fondi per la ricerca, oppure è inserito in commesse governative.

Già, ma qual è questa “giusta cifra”? Naturalmente dovrebbe essere il mercato a determinarla, ma va innanzi tutto considerato che tra investimento, addestramento, analisi del territorio della missione, pianificazione, trasferte, competenza specializzata e, nel caso di riprese, post produzione o elaborazione del materiale, difficilmente è possibile pensare che il denaro chiesto possa essere limitato al tempo impiegato per volare. Contrariamente a un elicottero, del quale è possibile ricavare il costo “al minuto”, con i Sapr incidono molto il tipo di sensore usato (un continuo aggiornamento) e tutto il lavoro pre e post volo.

In Italia, più che in altri Paesi, esiste ancora una barriera culturale per la quale chi vola con un drone, anche se esercita un mestiere, è considerato un “giocherellone” visto come colui che pretende d’essere pagato per fare qualcosa che gli piace. E questo, a ben guardare, è comune ad altri rami dell’aviazione. E infatti, il lavoro aereo in genere in Italia è storicamente un mestiere per ricchi, cioè per chi vive grazie ad altre attività e può permettersi di aspettare il cliente che possa pagare.

Come intervenire? Più cultura su chi sia, in effetti, un operatore autorizzato; più coraggio nel denunciare gli abusivi, la pubblicazione da parte di associazioni di esempi generici di preventivi, con qualche dettaglio di spesa per far comprendere ai potenziali clienti quanto incidano, per esempio l’ammortamento del mezzo, la sua manutenzione e assicurazione. E infine, un’opera di coinvolgimento di comparti produttivi che potrebbero ricavare grandi benefici dall’uso dei Sapr. Agricoltura in testa.